Il “vino della casa” nasce come il vino che il ristoratore si procurava presso il vignaiolo di fiducia e che serviva agli avventori a un prezzo ragionevole. Nel caso di piccole osterie di campagna, capitava che il vino della casa fosse proprio il vino che l’oste produceva personalmente con le uve delle sue vigne. Un vino senza pretese, certo, ma con una componente di genuinità che ai clienti faceva sempre piacere gustare.
In quest’epoca in cui sempre più persone si interessano alla qualità del vino e pare indispensabile avere una cultura di base in fatto di enologia, la definizione “vino della casa” viene spesso associata all’idea di un vino poco pregiato, magari addirittura di scadente qualità.
C’è spesso la convinzione che nelle brocche di vino sfuso servite ai tavoli delle trattorie si celi qualche losco miscuglio, risultato di travasi da bottiglie e caraffe non terminate da altri avventori. Di certo, qualche oste poco onesto non è estraneo a questa pratica, ma non si può generalizzare!
Nella maggior parte dei casi, dietro ai “quartini” o alle caraffe da mezzo litro non si nasconde nessuna spiacevole sorpresa. Per un ristoratore che tiene al buon nome del proprio locale, il vino della casa è come un biglietto da visita. È il vino scelto da lui personalmente, e non correrebbe mai il rischio di servire in tavola un prodotto scadente.
Spesso la definizione “vino della casa” è usata direttamente come sinonimo di “vino sfuso”, spinato al momento. Proprio come succedeva un tempo, il ristoratore fa una scelta personale per procurarsi il suo “vino della casa” presso un produttore di fiducia. Ma anziché dalla damigiana del vignaiolo, per servirlo attinge da fusti o cisternette, garanzia di igiene e qualità.
Acquistandolo in grandi quantità, l’oste è quindi semplicemente in grado di proporre ai suoi clienti un vino dal buon rapporto qualità/prezzo, che spesso riserva delle belle sorprese, al pari del vino in bottiglia.